Post più popolari

lunedì 15 febbraio 2016

Certificazione, una scelta difficile



Introduzione

Con l’uscita della revisione 2015 della norma ISO 9001 un altro tassello del complesso sistema delle certificazioni per le industrie alimentari viene nuovamente modificato.
Questa recente modifica può destare ulteriori dubbi fra i responsabili delle aziende interessati ad avviare un percorso di gestione in qualità e ad ottenere una certificazione.
Allo stato attuale un’azienda alimentare interessata a queste possibilità si trova di fronte a un ventaglio di alternative estremamente articolato; questo può rendere problematica la scelta. Una rapida consultazione dei siti internet degli organismi di certificazione più conosciuti produce elenchi di 20-30 schemi differenti, riferiti a sigle a volte misteriose, disorientando gli operatori interessati.
Uno schema è un complesso di documenti normativi, di origine pubblica o privata, talvolta anche cogenti, sulle cui indicazioni (requisiti) un organismo indipendente si basa per certificare la conformità di un’organizzazione (azienda) al/ai documento/i.
Gli schemi possibili inerenti le attività di produzione alimentare, per citare solo i più diffusi, sono di seguito elencati:

  •           ISO 9001 (Quality management systems -- Requirements)
  •           ISO 14001 (Environmental management systems - Requirements with guidance for use)
  •           SA 8000 (Social Accountability e CSR - corporate social responsibility)
  •           ISO 22000 (Food safety management systems - Requirements for any organization in the food chain)
  •           BRC (British Retail Consortium - Technical Standard for suppliers of retail branded food products)
  •           IFS (International Food Standard)
  •           UNI 10854 (Azienda agroalimentare - Linee guida per la progettazione e realizzazione di un sistema di autocontrollo basato sul metodo HACCP)
  •           UNI 10939 (Sistema di rintracciabilità nelle filiere agroalimentari)
  •           UNI 11020 (Sistema di rintracciabilità nelle aziende agroalimentari)
  •           ISO 22005 (Traceability in the feed and food chain - General principles and basic requirements for system design and implementation)
  •           OHSAS 18001 (Occupational Health and Safety Assessment Series)
  •           Biologico (Regolamento CEE 2092/91 e D.M. 220/95)
  •           Prodotto agroalimentare
  •           Filiera controllata

-          ecc.
Come si vede, accade che sia l’ISO (International Organization for Standardization), che l’UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione), che altri soggetti (privati e pubblici, tra questi associazioni, consorzi di produttori, altri soggetti), pubblichino propri schemi normativi, talvolta concernenti ambiti normativi sovrapposti o coincidenti.

I differenti schemi e il loro significato

I requisiti indicati dai diversi schemi attengono ad ambiti diversificati derivanti da esperienze, approcci, storie non sovrapponibili:

  •         l’organizzazione aziendale ed i sistemi qualità tradizionali
  •           la sicurezza alimentare
  •           la rintracciabilità
  •           l’impatto ambientale
  •           la responsabilità sociale
  •           le specificità di prodotto (origine, produzione biologica)

A seconda delle richieste dei clienti (diretti) e degli utilizzatori dei prodotti (consumatori) può risultare più o meno opportuna la scelta di uno o più schemi.
Se i clienti hanno un interesse generico a selezionare un fornitore complessivamente affidabile (che mantenga cioè costante il proprio livello di qualità del prodotto e del servizio, oppure lo migliori), la scelta può cadere sullo schema ISO 9001. Se invece sono gli aspetti strettamente relativi alla sicurezza alimentare a destare l’interesse del proprio cliente è possibile optare per gli schemi ISO 22000, UNI 10854 (quest’ultimo si può peraltro considerare ormai superato, in quanto basato su normativa cogente ormai abrogata, ovvero il D.Lgs. 155/97) oppure per gli standard “proprietari” BRC e IFS, richiesti specificamente da alcune catene di distribuzione. In particolare lo schema BRC trova il suo seguito presso catene di distribuzione del mondo anglosassone, mentre l’IFS è particolarmente considerato dai gestori della grande distribuzione tedeschi e francesi. Talvolta solo determinati schemi (magari uno soltanto) sono accettati da alcuni clienti, e la scelta diventa forzata.
Gli schemi UNI 10939, UNI 11020, ISO 22005 riguardano specificamente un aspetto della sicurezza alimentare, ovvero la rintracciabilità (di filiera, o a livello aziendale) e la conformità ad essi è richiesta in particolare da clienti operanti nella grande distribuzione (la presenza di un sistema di rintracciabilità facilità gli interventi correttivi in caso necessità di ritiro di un prodotto dal commercio e dal mercato).
Alcuni schemi tendono a destare maggiore interesse e risposta commerciale presso fasce e categorie di consumatori maggiormente informati su aspetti particolari, consumatori che richiedono al produttore degli alimenti da essi acquistati una particolare attenzione ad aspetti etici non direttamente centrati sul prodotto. È questo il caso dello schema ISO 14001 (certificazione concernente la gestione dei problemi ambientali e di inquinamento), dello schema SA 8000 (riguardante la responsabilità sociale e aziendale, su aspetti di sfruttamento del lavoro, di rispetto dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori, la tutela contro lo sfruttamento dei minori, la sicurezza e salubrità sul posto di lavoro) e dello schema OHSAS 18001 (maggiormente centrato su sicurezza e salubrità occupazionali).
Altri schemi di certificazione hanno a che fare direttamente con le caratteristiche del prodotto. La certificazione di prodotto biologico attesta l’utilizzo limitato e comunque in forma controllata di presidi chimici nella produzione agricola ed è regolamentata per legge (Reg. CEE 2092/91), pur essendo il controllo dei requisiti delegato ad organismi privati. Anche alcune caratteristiche particolari di un prodotto o di una gamma di prodotti (assenza di OGM, particolari processi produttivi o metodi di ottenimento, origine geografica di prodotti) possono essere certificati in base a protocolli (schemi) definiti per legge (disciplinari di prodotti DOP, DOC, DOCG, IGP, ecc.) o anche dai produttori stessi o da loro consorzi, in accordo con gli organismi di certificazione.
Gli organismi di certificazione (i soggetti indipendenti che effettuano le verifiche presso le aziende e rilasciano i certificati di conformità) prevedono talvolta la certificazione parallela su più schemi attinenti lo stesso argomento o argomenti differenti. Ad esempio può essere possibile essere verificati in un’unica occasione ed ottenere le certificazioni sulla sicurezza alimentare (ISO 22000, BRC, IFS), sulla rintracciabilità (UNI 11020 e ISO 22005) e sulla gestione ambientale (ISO 14001) con un’unica visita, essendo molti i requisiti previsti in forma analoga dai diversi schemi (è il caso ad esempio dei requisiti attinenti il riesame della direzione, la gestione dei reclami, delle non conformità, delle azioni preventive e correttive, il miglioramento continuo).
Per gli operatori alimentari interessati alla certificazione è quindi opportuna una preliminare attenta valutazione delle esigenze sia attuali che future, collegate ai clienti e destinatari dei prodotti, prima di scegliere su quale/i schema/i ottenere la certificazione.

Quale autorità e affidabilità?

È opportuno porsi anche un’ulteriore domanda: “come verrà percepito dal mio cliente e dal mio consumatore l’avvenuta certificazione?”.
Da questa domanda ne discende immediatamente un’altra: “quali saranno le forme più opportune di comunicazione dell’avvenuto raggiungimento di questo traguardo aziendale?”.
Diventa importante quindi valutare preliminarmente oltre che l’ambito di certificazione più adatto ai propri obbiettivi aziendali anche l’impatto che l’ottenimento del marchio di certificazione avrà sulla clientela. Questo impatto è funzione di diversi fattori, e ogni schema presenta vantaggi e svantaggi, di seguito riassunti brevemente.
Lo schema ISO 9001 viene considerato particolarmente “inflazionato” dagli addetti ai lavori, essendo molto diffuso e facilmente raggiungibile dalle aziende. Esso può tuttavia essere considerato come una possibile porta d’ingresso nel misterioso mondo della certificazione, prevedendo esso tutti i requisiti organizzativi e gestionali che si ritrovano poi negli altri schemi (quali quelli relativi a organizzazione e gerarchie aziendali, pianificazioni, progettazione, gestione dei reclami, delle non conformità, delle azioni correttive e preventive, gestione dei fornitori, soddisfazione del cliente, misurazioni e miglioramento). Se si hanno rapporti con la pubblica amministrazione l’esistenza di una certificazione ISO 9001 è spesso considerata un prerequisito inderogabile per partecipare a gare ed appalti. Va detto che l’ottenimento di una certificazione ISO 9001 lascia pressoché indifferente il consumatore finale dei prodotti di un’azienda alimentare.
Gli schemi legati alla sicurezza alimentare sono considerati un fattore di qualificazione di un fornitore in maniera diversa, per i vari clienti. Si è detto dell’istituzione di schemi “geograficamente” distinti rappresentati rispettivamente da BRC (mondo anglosassone) e IFS (zona franco-tedesca). Lo schema “straniero” non viene praticamente considerato dalle catene di distribuzione di ciascuna delle due zone di competenza. Peggio, lo standard ISO 22000 (ed ancor meno quello italiano UNI 10854) sulla sicurezza alimentare e l’applicazione del sistema HACCP non viene praticamente preso in considerazione da alcuni colossi della grande distribuzione che richiedono esclusivamente l’adesione allo schema della propria area geografica di origine (non si citano i riferimenti dei soggetti interessati, ma ciascuno può identificare le aree di pertinenza dei “grandi nomi” della distribuzione).
Un’altra questione interessante è legata alla sovrapposizione tra requisiti cogenti (il cui rispetto è obbligatorio per legge) e requisiti indicati dagli schemi. Questo è particolarmente evidente per gli schemi basati sul sistema HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points, Analisi dei Pericoli e Punti di Controllo Critici, sistema, si sa, obbligatorio per legge ai sensi del Reg. CE 852/2004 per tutte le aziende alimentari) e per quelli concernenti i sistemi di rintracciabilità (altrettanto obbligatoria, ai sensi del Reg. CE 178/2002, per tutte le aziende alimentari). Diventa difficile per un produttore di alimenti accettare il fatto che a un soggetto privato (l’organismo di certificazione) debba essere corrisposta una prebenda (più o meno salata) perché il suddetto soggetto, a seguito di un iter (più o meno complesso) e di una o più visite all’azienda decida sulla conformità legale di quest’ultima. A molti operatori del settore viene in mente una facile domanda: “ma allora, ASL, NAS, e altri organi di controllo, che ci stanno a fare?”.
La questione, pur non priva di una sua logica e non del tutto peregrina, trascura però alcuni aspetti essenziali:
-          una certificazione volontaria comprende anche aspetti non obbligatori per legge, legati al modo di ottenimento dei risultati di conformità (in sostanza, la legge dice cosa ottenere, non come ottenerlo, mentre gli schemi volontari – le norme – entrano anche in questi dettagli)
-          l’adesione a uno schema di certificazione comporta una garanzia di continuità nella conformità (mentre nel corso di un’ispezione del controllo ufficiale la valutazione è per lo più in retrospettiva, e non mirata al futuro, prossimo o remoto)
È corretto quindi partire dal raggiungimento della conformità alle leggi (prerequisito) e da lì stabilire un percorso di garanzia nel tempo di tale conformità, basato sull’organizzazione aziendale e sulla pianificazione. In quest’ottica l’adesione a uno schema di certificazione può portare ad ottenere:

  •          consapevolezza sul funzionamento dell’azienda
  •           prevenzione dei rischi
  •           maggiore tranquillità per chi amministra l’azienda

L’approccio: carta o essenza?

A questo punto diventa essenziale una scelta sull’approccio da intraprendere, tanto più quando la scelta di avviare un processo di certificazione è in qualche modo stata imposta dal mercato, dai clienti, dalla concorrenza.
Qualunque sia lo schema di certificazione adottato (o gli schemi), la scelta essenziale è quella tra la costruzione di un sistema di facciata ed una profonda e vissuta applicazione dei concetti base della qualità in ogni aspetto quotidiano della realtà e della vita aziendale; la scelta essenziale è quella tra un approccio burocratico (logica dell’adempimento) ed uno basato sull’efficienza, tra “mettere su un sistema qualità” ed “essere in qualità”.
IL “BUROCRATE”
CHI HA SCELTO L’EFFICIENZA
Ha paura dell’organismo di certificazione
Ha valutato come un qualsiasi altro fornitore anche l’organismo di certificazione
Ha paura degli ispettori, e cerca di compiacerli
Sa di poter fare reclamo sul comportamento degli ispettori, se dannoso per la propria azienda, o scorretto
Vuole “dare evidenza”
Fa ciò che gli serve per lavorare meglio
Registra tutto ma non trova niente
Registra quello di cui sa che avrà bisogno
Scrive invece di fare
Scrive per ricordarsi come fare
Progetta ma non realizza
Progetta per realizzare meglio
Annota ogni problema ma non lo risolve
Ha un elenco di problemi, in ordine di importanza e sa quando li risolverà
Ha una politica per la qualità piena di ottime intenzioni
Ha scritto le SUE intenzioni  e strategie nella politica per la qualità
Parla di miglioramento, stampa grafici e torte
Analizza i dati, e migliora continuamente
E’ CONCENTRATO SUGLI ADEMPIMENTI
E’ CONCENTRATO SUL RISULTATO
PARLA DI QUALITA’
LA VIVE

Da un corretto approccio dipende il destino aziendale: da una parte un continuo sacrificio di mezzi e risorse per inseguire la conformità, per lo più di documenti e registrazioni, dall’altra un’impostazione in grado di far funzionare armonicamente tutte le componenti aziendali, di lasciare le tracce necessarie a ricostruire i percorsi precedenti e a verificare il corretto funzionamento.
Da una parte l’ansia e l’angoscia della non conformità, dall’altra sonni tranquilli!

Conclusioni

In definitiva l’ “operatore del settore alimentare” (così lo definiscono le leggi europee), interessato ad iniziare un percorso di qualità ed ottenere una certificazione per la propria azienda, dovrebbe avere una chiara coscienza dei motivi di una tale scelta e degli obbiettivi da raggiungere, collegati al proprio mercato di interesse.
Al di là degli aspetti materiali della scelta di uno schema piuttosto di un altro, di un organismo di certificazione in luogo di quello concorrente, è importante comprendere che dall’inizio del percorso dipenderanno in una misura importante i destini dell’azienda, non solo nei rapporti col mercato ma anche, in misura non trascurabile, per quanto riguarda gli equilibri interni e i costi di gestione.
La giusta scelta dello schema di certificazione sarà evidente se i vantaggi apportati dall’adesione allo schema stesso (e dall’ottenimento della certificazione) supereranno i costi connessi, diretti ed indiretti.


Massimo Tarditi, Grugliasco

Nessun commento:

Posta un commento