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martedì 16 febbraio 2016

Storia della mozzarella di bufala

Sin dal 1500 la mozzarella di bufala veniva prodotta in Campania, graziata dalle sue fertili terre e dal suo clima mite, caratteristiche che creavano l'habitat naturale per il pascolo delle bufale, dal cui prezioso latte viene prodotta la tipica mozzarella di bufala campana.                            
Le origini della mozzarella sono direttamente legate all'introduzione dei bufali in Italia. In origine la mozzarella era prodotta solo con latte di bufala ma unitamente al forte sviluppo del settore, nel dopoguerra, si è iniziato a produrre latticini con latte di vacca aventi la medesima denominazione.
La mozzarella ha una sua storia antichissima; vi sono tesi storiche contrastanti circa l'epoca dell'introduzione dei bufali in Campania. Plinio il Vecchio (N.H. XI, 241) cita il “laudatissimum caseum “del Campo Cedicio, identificabile con quelle aree tra Mondragone e il Volturno, cui pure compete l'attuale denominazione di " Mazzoni " e dove è assai sviluppato l'allevamento bufalino e la produzione di latticini di bufala. All'epoca di Plinio si trattava evidentemente di prodotti vaccini, ma quando tra il X e l’XI secolo si sviluppò il fenomeno dell'impaludamento, il bufalo trovò un habitat idoneo e il suo latte sostituì quello vaccino nella preparazione di quel prelibato formaggio.
Alcuni storici fanno risalire questi formaggi al sesto secolo attribuendoli ai Longobardi, ma qualche storico avanza perfino l'ipotesi che fossero già stati portati in Italia da Annibale. Secolo prima o secolo dopo, l'unico dato storico incontestabile è che la mozzarella di bufala è un tipico prodotto campano, non a caso Carlo d'Angiò battezzò queste fertili terre con l'appellativo di "maison de roses", ed è in questa regione (e nel basso Lazio) che ancora oggi viene prodotta l'unica ed inimitabile mozzarella di bufala. Il termine "mozzarella " è abbastanza antico e sembra ritrovarsi per la prima volta citato in un libro di cucina pubblicato nel 1570 da un tal Scappi, cuoco della corte papale; questi, operatore di una cucina che oggi non esiteremmo a definire "internazionale", in un ambiente dove pervenivano specialità da ogni parte d'Italia e d'Europa, cita: “...capo di latte, butirro fresco, ricotte fiorite, mozzarelle fresche et neve di latte...".
Tuttavia, è indicativo che il prodotto mozzarella sembri totalmente assente nell’iconografia, anche in quella particolare del Presepe Napoletano che, con l'assunto di "tranche de vie", è uno spiraglio aperto su usi e costumi popolari e non; qui, peraltro, primeggia significativamente la provola. Con questa la mozzarella è strettamente collegata, non solo perché ugualmente prodotta con latte di bufala, (la provola rispetto alla mozzarella rappresenta un'ulteriore fase della lavorazione) ma anche perché, il nome della mozzarella deriva da quello della provola o, più precisamente, da un nome di questa caduto in desuetudine.
In effetti, se si esamina la struttura del termine " mozzarella ", non può non rilevarsi che esso si presenta come una forma diminutiva, con insita anche una valenza non proprio positiva (riflessasi poi nell'aver assunto valore d'insulto): il termine primario è "mozza", di cui la più antica citazione sicura si ha prima del 1481 dal fiorentino Giovanni di Paolo Rucellai. Anche se le denominazioni (mozza-provatura) variano a seconda dell'epoca e delle parlate, un fatto appare lampante e sicuro, cioè che tutte queste denominazioni hanno voluto indicare sempre quella che oggi viene chiamata " mozzarella ", che è il principale e più apprezzato prodotto ottenuto dal latte di bufala. 
Le parole di un medico senese autore di una monumentale opera medica più volte pubblicata nel XVI secolo, "...quello (latte) di bufala di cui si fanno quelle palle legate con giunchi che si chiamano mozze e a Roma provature..." (Mattioli) sono illuminanti per capire il rapporto mozza/provola, giacché in qualsiasi dizionario della lingua italiana, recente o meno, provola viene fatto derivare da provatura; mentre a definire il legame mozzarella/provatura interviene il D'Ambra nel suo Vocabolario Napoletano-Toscano domestico (1873) che definisce la mozzarella "...piccola forma poco più poco meno di un uovo di provatura fresca..."
La mozzarella, a causa della deperibilità, veniva prodotta in scarsa quantità e consumata localmente da una ristretta cerchia di "raffinati degustatori". Essa si configurava inizialmente, come una varietà meno nobile della provola, ed era sicuramente la scarsa conservabilità a giustificarne la sua assenza al contrario, delle provole dalle tavole napoletane (Correale, 1987).
La mozzarella, quindi, è collegata nell'origine del termine alla mozza che altro non è se non la provatura, ovvero la provola; solo così si chiarifica l'espressione del 1570 dello Scappi "mozzarelle fresche" (incomprensibile perché per noi la mozzarella è solamente fresca!).
La mozzarella di bufala è un prodotto unico nel suo genere, nato in tempi remoti con una sua propria identità. La sua storia è legata a quella della bufala i cui prodotti già erano quotati nel lontano 1601, come l’oro e il grano alla Borsa di Napoli e Capua, pur affondando le proprie radici nella Certosa di San Lorenzo in Capua.
Inizialmente il consumo di mozzarella era limitato alle zone di produzione. Il successo di questo formaggio a pasta filata fresco si ebbe con il miglioramento delle vie di comunicazione portarono a una notevole diffusione del prodotto. A partire dal 1700 conquistò tutta l’Italia meridionale, ma fu ad Aversa, nei Mazzoni di Capua, che si costituì la “Taverna “: un mercato all’ingrosso di mozzarelle e ricotte di bufala che stabiliva ogni giorno le quotazioni in rapporto a domanda ed offerta. Una vera e propria borsa dei latticini nella seconda metà del 700 comincia ad essere sempre più presente sui mercati di Napoli, forse per la benefica influenza dell'impianto della Reale Industria della Pagliara in provincia di Caserta , qui si stabiliva che la mozzarella doveva restare nella salsa 24 ore, mentre la provola 48; la successiva affumicazione, cui generalmente era sottoposta quest'ultima, era un espediente per una migliore conservazione in vista di più facile trasporto e commercializzazione.
I documenti d'archivio dimostrano che la pratica dell'affumicazione era stata in precedenza strumento molto utilizzato nel tentativo di conservare più a lungo prodotti facilmente deperibili: infatti, nel XVII secolo sul mercato capuano affluiscono, accanto alle mozzarelle fresche, provole e mozzarelle affumicate, nonché ricotte di vacca e di bufala salate ed affumicate.
In definitiva, la mozzarella si configura in origine come un sottoprodotto della preparazione della provatura/provola, tenuta in scarsa considerazione per le difficoltà di conservazione e commercializzazione, date le peculiari caratteristiche di freschezza, perciò destinata ad un circuito ristretto, magari di raffinati degustatori.
Ricordiamo monsignor Alicandri, della Chiesa Metropolitana di Capua, storico emerito, che in un suo lavoro del secolo scorso intitolato "Il Mazzone nell'antichità e nei tempi presenti " ci porta a conoscenza di un documento da lui rinvenuto in quell'Archivio Episcopale dal quale si evince come nel XII secolo "una mozza o provatura con un pezzetto di pane era la prestazione che i monaci del monastero di S. Lorenzo ad Septinun alle porte di Capua ( fondato dalla principessa Aloara, vedova del principe Pandolfo Capo di Ferro) davano in agnitionem dominii al Capitolo Metropolitano, il quale ogni anno, per antica tradizione, nella quarta fiera delle legazioni, recavasi processionalmente in quella Chiesa ".
Traspare evidente da questo documento come la "mozza" fosse entrata nel costume rituale ecclesiastico e, quindi, doveva essersi già necessariamente affermata nell'uso comune. Analoghe e coeve fonti ecclesiastiche riferiscono di un simile uso nella città di Salerno grazie ai legami dei monaci benedettini con la città longobarda di Salerno che favorì l’espandersi della lavorazione della mozzarella nella piana del Sele. La storia della mozzarella di bufala è una delle più avventurose; almeno la tecnica di lavorazione della mozzarella potrebbe essere nata nell’odierno Molise, nei pressi delle fonti del fiume Volturno, grazie proprio alle esperte mani dei monaci benedettini. Tale ipotesi potrebbe fare il paio con quella dell’importazione del bufalo mediterraneo in Italia, variamente attribuita ai longobardi nel 596 d.C. (precisamente furono regalate ad Agilulfo, allora re dei longobardi, dal Khan degli Avari). 
Ecco perché bufali, principi longobardi e monaci benedettini potrebbero avere molti punti in comune: e tutti insieme una nuova patria nella vasta pianura campana dal Garigliano al Volturno e fino al Sele.  L’incremento del consumo di derivati bufalini (carni e mozzarelle) sulla fine del XVIII sec. è indubbiamente legato all'impianto della Tenuta Reale conosciuta come “Carditello”. Alcuni documenti conservati presso l’archivio della Reggia di Caserta e relativi alla gestione della “Reale Industria della pagliata delle bufale”, attestano che intorno al 1780 veniva dedicata molta attenzione al miglioramento della razza di bufali e all’incremento della produzione di mozzarelle e provole. La mozzarella di bufala, oggi simbolo di una società immersa nel benessere alimentare è stata, per ironia della sorte, storia di sofferenze di contadini particolarmente poveri, la cui vita era fino a non moltissimo tempo fa inestricabilmente legata a quelle delle bestie.
Nei secoli passati le condizioni di vita dei contadini erano simili a quelle delle bufale, costretti a vivere isolati in zone paludose e malsane, afflitti da febbre malarica. La personalità drammatica del bufalaro è espressa nei versetti, ovvero una sorta di nome e cognome che il bufalaro dava alle bufale, le quali ubbidivano al richiamo, se il nome e il cognome venivano pronunciati come una cantilena, (che si pensa fosse rimata addirittura dai contadini longobardi). Ciò prendeva spunto proprio da questa inimmaginabile sofferenza quotidiana, nel tentativo di uscire da questa difficile condizione sublimando il dolore con la poesia. Infatti, si può comprendere come ogni bufala abbia un nome che è un versetto, e i nomi di una mandria formano un poema i cui versetti non sono mai allegri ma tutto al più ironici e la mozzarella ne rappresenta la sintesi sublimata (Rocco Scotellaro, 1940).

(Anthony Scorzelli)

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