Sin dal 1500 la
mozzarella di bufala veniva prodotta in Campania, graziata dalle sue fertili
terre e dal suo clima mite, caratteristiche che creavano l'habitat naturale per
il pascolo delle bufale, dal cui prezioso latte viene prodotta la tipica
mozzarella di bufala
campana.
Le origini della
mozzarella sono direttamente legate all'introduzione dei bufali in Italia. In
origine la mozzarella era prodotta solo con latte di bufala ma unitamente al forte
sviluppo del settore, nel dopoguerra, si è iniziato a produrre latticini con
latte di vacca aventi la medesima denominazione.
La mozzarella ha una sua
storia antichissima; vi sono tesi storiche contrastanti circa l'epoca
dell'introduzione dei bufali in Campania. Plinio il Vecchio (N.H.
XI, 241) cita il “laudatissimum caseum “del Campo Cedicio,
identificabile con quelle aree tra Mondragone e il Volturno, cui pure compete
l'attuale denominazione di " Mazzoni " e dove è
assai sviluppato l'allevamento bufalino e la produzione di latticini di bufala.
All'epoca di Plinio si trattava evidentemente di prodotti vaccini, ma quando
tra il X e l’XI secolo si sviluppò il fenomeno dell'impaludamento, il bufalo
trovò un habitat idoneo e il suo latte sostituì quello vaccino nella
preparazione di quel prelibato formaggio.
Alcuni storici fanno
risalire questi formaggi al sesto secolo attribuendoli ai Longobardi, ma
qualche storico avanza perfino l'ipotesi che fossero già stati portati in
Italia da Annibale. Secolo prima o secolo dopo, l'unico dato storico
incontestabile è che la mozzarella di bufala è un tipico prodotto campano, non
a caso Carlo d'Angiò battezzò queste fertili terre con l'appellativo di "maison
de roses", ed è in questa regione (e nel basso Lazio) che ancora oggi
viene prodotta l'unica ed inimitabile mozzarella di bufala. Il termine "mozzarella "
è abbastanza antico e sembra ritrovarsi per la prima volta citato in un libro
di cucina pubblicato nel 1570 da un tal Scappi, cuoco della corte
papale; questi, operatore di una cucina che oggi non esiteremmo a definire
"internazionale", in un ambiente dove pervenivano specialità da ogni
parte d'Italia e d'Europa, cita: “...capo di latte, butirro fresco, ricotte
fiorite, mozzarelle fresche et neve di latte...".
Tuttavia, è indicativo
che il prodotto mozzarella sembri totalmente assente nell’iconografia, anche in
quella particolare del Presepe Napoletano che, con l'assunto di "tranche
de vie", è uno spiraglio aperto su usi e costumi popolari e non; qui,
peraltro, primeggia significativamente la provola. Con questa la mozzarella è
strettamente collegata, non solo perché ugualmente prodotta con latte di
bufala, (la provola rispetto alla mozzarella rappresenta un'ulteriore fase
della lavorazione) ma anche perché, il nome della mozzarella deriva da quello
della provola o, più precisamente, da un nome di questa caduto in desuetudine.
In effetti, se si
esamina la struttura del termine " mozzarella ", non
può non rilevarsi che esso si presenta come una forma diminutiva, con insita
anche una valenza non proprio positiva (riflessasi poi nell'aver assunto valore
d'insulto): il termine primario è "mozza", di cui la più
antica citazione sicura si ha prima del 1481 dal fiorentino Giovanni di Paolo
Rucellai. Anche se le denominazioni (mozza-provatura) variano a seconda
dell'epoca e delle parlate, un fatto appare lampante e sicuro, cioè che tutte
queste denominazioni hanno voluto indicare sempre quella che oggi viene
chiamata " mozzarella ", che è il principale e più
apprezzato prodotto ottenuto dal latte di bufala.
Le parole di un medico
senese autore di una monumentale opera medica più volte pubblicata nel XVI
secolo, "...quello (latte) di bufala di cui si fanno quelle palle
legate con giunchi che si chiamano mozze e a Roma provature..."
(Mattioli) sono illuminanti per capire il rapporto mozza/provola, giacché in
qualsiasi dizionario della lingua italiana, recente o meno, provola viene fatto
derivare da provatura; mentre a definire il legame mozzarella/provatura
interviene il D'Ambra nel suo Vocabolario Napoletano-Toscano domestico (1873)
che definisce la mozzarella "...piccola forma poco più poco meno di un
uovo di provatura fresca..."
La mozzarella, a causa
della deperibilità, veniva prodotta in scarsa quantità e consumata localmente
da una ristretta cerchia di "raffinati degustatori". Essa si
configurava inizialmente, come una varietà meno nobile della provola, ed era
sicuramente la scarsa conservabilità a giustificarne la sua assenza al contrario,
delle provole dalle tavole napoletane (Correale, 1987).
La mozzarella, quindi, è
collegata nell'origine del termine alla mozza che altro non è se non la
provatura, ovvero la provola; solo così si chiarifica l'espressione del 1570
dello Scappi "mozzarelle fresche" (incomprensibile perché per noi la
mozzarella è solamente fresca!).
La mozzarella di bufala
è un prodotto unico nel suo genere, nato in tempi remoti con una sua propria identità.
La sua storia è legata a quella della bufala i cui prodotti già erano quotati
nel lontano 1601, come l’oro e il grano alla Borsa di Napoli e Capua, pur
affondando le proprie radici nella Certosa di San Lorenzo in Capua.
Inizialmente il consumo
di mozzarella era limitato alle zone di produzione. Il successo di questo
formaggio a pasta filata fresco si ebbe con il miglioramento delle vie di
comunicazione portarono a una notevole diffusione del prodotto. A partire dal
1700 conquistò tutta l’Italia meridionale, ma fu ad Aversa, nei Mazzoni di
Capua, che si costituì la “Taverna “: un mercato all’ingrosso di
mozzarelle e ricotte di bufala che stabiliva ogni giorno le quotazioni in
rapporto a domanda ed offerta. Una vera e propria borsa dei latticini nella
seconda metà del 700 comincia ad essere sempre più presente sui mercati di
Napoli, forse per la benefica influenza dell'impianto della Reale Industria
della Pagliara in provincia di Caserta , qui si stabiliva che la mozzarella
doveva restare nella salsa 24 ore, mentre la provola 48; la successiva
affumicazione, cui generalmente era sottoposta quest'ultima, era un espediente
per una migliore conservazione in vista di più facile trasporto e
commercializzazione.
I documenti d'archivio
dimostrano che la pratica dell'affumicazione era stata in precedenza strumento
molto utilizzato nel tentativo di conservare più a lungo prodotti facilmente
deperibili: infatti, nel XVII secolo sul mercato capuano affluiscono, accanto
alle mozzarelle fresche, provole e mozzarelle affumicate, nonché ricotte di
vacca e di bufala salate ed affumicate.
In definitiva, la
mozzarella si configura in origine come un sottoprodotto della preparazione
della provatura/provola, tenuta in scarsa considerazione per le difficoltà di
conservazione e commercializzazione, date le peculiari caratteristiche di
freschezza, perciò destinata ad un circuito ristretto, magari di raffinati
degustatori.
Ricordiamo monsignor
Alicandri, della Chiesa Metropolitana di Capua, storico emerito, che in un suo
lavoro del secolo scorso intitolato "Il Mazzone nell'antichità e nei
tempi presenti " ci porta a conoscenza di un documento da lui
rinvenuto in quell'Archivio Episcopale dal quale si evince come nel XII secolo
"una mozza o provatura con un pezzetto di pane era la prestazione che i
monaci del monastero di S. Lorenzo ad Septinun alle porte di Capua ( fondato
dalla principessa Aloara, vedova del principe Pandolfo Capo di Ferro) davano in agnitionem
dominii al Capitolo Metropolitano, il quale ogni anno, per antica
tradizione, nella quarta fiera delle legazioni, recavasi processionalmente in
quella Chiesa ".
Traspare evidente da
questo documento come la "mozza" fosse entrata nel costume rituale
ecclesiastico e, quindi, doveva essersi già necessariamente affermata nell'uso
comune. Analoghe e coeve fonti ecclesiastiche riferiscono di un simile uso
nella città di Salerno grazie ai legami dei monaci benedettini con la città
longobarda di Salerno che favorì l’espandersi della lavorazione della
mozzarella nella piana del Sele. La storia della mozzarella di bufala è una
delle più avventurose; almeno la tecnica di lavorazione della mozzarella potrebbe
essere nata nell’odierno Molise, nei pressi delle fonti del fiume Volturno,
grazie proprio alle esperte mani dei monaci benedettini. Tale ipotesi potrebbe
fare il paio con quella dell’importazione del bufalo mediterraneo in Italia,
variamente attribuita ai longobardi nel 596 d.C. (precisamente furono
regalate ad Agilulfo, allora re dei longobardi, dal Khan degli Avari).
Ecco perché bufali,
principi longobardi e monaci benedettini potrebbero avere molti punti in
comune: e tutti insieme una nuova patria nella vasta pianura campana dal
Garigliano al Volturno e fino al Sele. L’incremento del consumo di
derivati bufalini (carni e mozzarelle) sulla fine del XVIII sec. è indubbiamente
legato all'impianto della Tenuta Reale conosciuta come
“Carditello”. Alcuni documenti conservati presso l’archivio della Reggia di
Caserta e relativi alla gestione della “Reale Industria della pagliata delle
bufale”, attestano che intorno al 1780 veniva dedicata molta attenzione al
miglioramento della razza di bufali e all’incremento della produzione di
mozzarelle e provole. La mozzarella di bufala, oggi simbolo di una società
immersa nel benessere alimentare è stata, per ironia della sorte, storia
di sofferenze di contadini particolarmente poveri, la cui vita era fino a
non moltissimo tempo fa inestricabilmente legata a quelle delle bestie.
Nei secoli passati le
condizioni di vita dei contadini erano simili a quelle delle bufale, costretti
a vivere isolati in zone paludose e malsane, afflitti da febbre malarica. La
personalità drammatica del bufalaro è espressa nei versetti, ovvero una sorta
di nome e cognome che il bufalaro dava alle bufale, le quali ubbidivano al
richiamo, se il nome e il cognome venivano pronunciati come una cantilena, (che
si pensa fosse rimata addirittura dai contadini longobardi). Ciò prendeva
spunto proprio da questa inimmaginabile sofferenza quotidiana, nel tentativo di
uscire da questa difficile condizione sublimando il dolore con la poesia.
Infatti, si può comprendere come ogni bufala abbia un nome che è un versetto, e
i nomi di una mandria formano un poema i cui versetti non sono mai allegri ma tutto
al più ironici e la mozzarella ne rappresenta la sintesi sublimata (Rocco
Scotellaro, 1940).
(Anthony Scorzelli)
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